sabato 21 novembre 2015

Parlando a vanvera di terrorismo

Circa un mese fa ero a Parigi, per una mini ma piacevole vacanza con Silvia e un paio di amici e, sentendo e leggendo di quanto accaduto venerdì scorso, diciamo che qualche pensiero cupo mi è passato per la testa ronzando nel vuoto pneumatico che orgogliosamente mi vento di conservare. 
Ma probabilmente è una dinamica emotiva innescata dal modo in cui vengono comunicati e fatti percepire certi eventi. 
Non che gli attentati accaduti a Parigi siano poco gravi o poco deprecabili, anzi: personalmente aborro la violenza, il terrorismo e queste forme di comportamento che ricadono esclusivamente su innocenti. 
Però fermandosi un poco e riflettendo, forse, si riesce a dare un peso e un'interpretazione più razionale a quanto stiamo vivendo in questi giorni, meno emotiva e condizionata. 
Anche perché, detto tra noi, più che i morti in sé, più che l'insicurezza che la consapevolezza di essere vulnerabili qui in Europa - a casa nostra! -, più che l'estremismo islamico in sé, mi fa paura e mi destabilizza il pensiero di vederci ancora e costantemente alle prese con pensieri medievali, alla mercè di chi inneggia a soluzioni semplici per problematiche e contesti complessi - e che magari ne approfittano per un po' di propaganda elettorale.
In fondo, è dall'XI secolo che vi è una contrapposizione forte tra mondo occidentale e medio oriente: è da allora che si combattono crociate e che si usano espressioni come "infedeli, guerra santa" per giustificare atti barbarici tra popoli. 
E nei secoli pare che ancora non ci si sia stancati ma che anzi si insista nel volere creare tensioni e distanze. Fa comodo, evidentemente. 
Questo, ovviamente, accade da ambo i lati visto che gli estremisti islamici dell'ISIS e, prima ancora, i membri di al-Qaida non sono certamente dei santi e non li giustifico affatto.
Però, al contempo, non mi va di essere troppo ipocrita né di crogiolarmi all'ombra di titoloni inquietanti come "Bastardi islamici" di Belpietro o dei commenti di certe notizie da parte di chi cede solo al razzismo e all'odio.
Voglio dire, la situazione è complessa e molto articolata, è il frutto di processi storico-culturali che proseguono da molto tempo e che l'Occidente stesso ha voluto e creato. E' risaputo, ad esempio, che al-Qaida è nata grazie all'interesse statunitense durante la guerra fredda, così come è nota l'ingerenza da parte delle potenze economiche occidentali sui territori del Medio Oriente, e non per nobili fini.
Solo qualche anno fa sembrava che il male assoluto fosse rappresentato da Ahmadinejad, poi la moda è cambiata, c'è stata la primavera araba, l'Egitto, la guerra in Libia...insomma, il leitmotiv sembra essere "tensione".
Una tensione che a volte viene strumentalizzata e usata per distogliere da altre preoccupazioni e pensieri o comunque per inquadrare certe dinamiche sotto una certa prospettiva.  
Per cui, come ci sentiamo partecipi della rabbia e del risentimento per le vittime di Parigi, credo, dovremmo sentirci complici e responsabili e addolorarci anche per tutte le morti che abbiamo scelto di ignorare. Morti lontane, anonime, avvenute in territori che magari non sappiamo manco collocare sulla cartina geografica, morti che non ci riguardano. Non come quelle di Parigi. Giusto per fare un confronto, a distanza di una settimana si piange ancora per le vittime della capitale francese mentre l'attentato in Mali perde posizione in classifica. 
Una posizione, quella di pesare diversamente le morti nel mondo, che possiamo permetterci perché stiamo dalla parte "giusta", da quella che detta le regole. Chissà come la penseremmo se fossimo abitanti di altri Paesi. O se ogni tanto provassimo a guardare al mondo con occhi diversi. Per dire, ci siamo fermati qualche istante a pregare per le morti innocenti avvenute in Afghanistan o in Iraq? Sul sito di national geographic, si parla di circa mezzo milione di morti causate direttamente o indirettamente dalla guerra in Iraq.
Ma quello non era terrorismo, è vero, era un atto di belligeranza in nome di valori più alti e nobili. Quasi una jihad, ma che non causa i medesimi moti di sdegno e orrore nella percezione collettiva.
Oltre a ciò, giusto per approfondire, mi va di citare un articolo apparso su Repubblica che cerca di fare un bilancio degli attentati e delle vittime occorse in 20 anni, dal 1995 ad oggi: I numeri del terrorismo globale
Guardando le statistiche, parrebbe che in Europa
abbiamo avuto qualcosa come 806 morti in vent'anni di terrorismo, 6 in Italia. Ah, e non tutte le uccisioni sono legate a gesti di attentatori islamici. Ci sono anche casi legati alle Brigate rosse, per esempio, e di certo sono state escluse le statistiche di attentati mafiosi. Che invece hanno mietuto qualcosa come 5000 vite, ma di questo meglio non parlare giusto? Meglio guardare altrove, dare la colpa al "diverso", allo straniero, proprio come accadeva nel Medioevo.
Per cui, considerando la psicosi da "islamici" che si sta generando in questi giorni (e ricordiamoci che per risollevare certe lacune economiche, proprio noi italiani siamo andati a elemosinare denaro in Medio Oriente, vedasi il caso di Alitalia!), credo che sia invece necessario e auspicabile un momento di pausa collettiva. trovare un po' di moderazione e agire di conseguenza. Dare il via a faide o ricorrere alla morte violenta per vendicare le morti subite porta solo a un gorgo barbarico da cui non si esce facilmente. Motivo per cui un tizio di Betlemme, una volta, aveva suggerito di porgere l'altra guancia, non tanto perché era fesso o masochista, ma perché voleva suggerire la via della non-violenza, della reciproca comprensione, eliminare a monte i presupposti di sentimenti di odio e rivalsa.
In fondo, finché manca la volontà di voler capire cosa sta succedendo, di analizzare e approfondire i motivi che hanno determinato una certa situazione, come umanità non riusciremo mai a progredire.
Quindi, pur addolorandomi per le morti parigine, non me la sento di cedere alla superficialità di chi dice "bombardiamoli" o "ammazziamoli tutti" o di chi solletica tensioni razziali alla stregua di come faceva un certo signore col baffetto attorno agli anni '30 e '40.
Con questo non voglio dire che sono pro terrorismo o pro Isis, sia chiaro, semplicemente che è troppo facile puntare il dito e dare la colpa agli altri e, al contempo, scegliere di non voler vedere. Ora come ora abbiamo tutti gli strumenti per approfondire ogni argomento o stabilire qualsiasi contatto, noi come cittadini e i politici come responsabili del destino delle nazioni. Destino che, pur troppo, troppo spesso è vincolato a logiche di guadagno e sfruttamento e non dall'interesse verso un mondo nuovo.

Concludo con questa cianfrusaglia di frasi che mi hanno permesso di completare il post odierno lasciandovi con due canzoni che, a mio avviso, hanno qualche attinenza con le tematiche da me citate. La prima canzone è de Il teatro degli orrori mentre la seconda, di Sting, è stata scritta durante gli anni '80 in riferimento alla guerra fredda ma è comunque molto attuale. Tra i versi che la compongono "there's no such thing as a winnable war / It's a lie we don't believe anymore" / "non c'è nessuna cosa come una guerra da vincere / è una bugia a cui non crediamo più". Una guerra che può essere quella fredda come quella che parrebbe già essere in atto, con bombardamenti e ostilità manifeste.






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