martedì 26 settembre 2017

La caduta di Hyperion

Titolo: La caduta di Hyperion
Autore: Dan Simmons   
Traduttore: G. L. Staffilano 
Editore: Fanucci Editore
Genere: Fantascienza
Pagine: 545

La trama in breve:
I sette pellegrini hanno raggiunto le Tombe del Tempo di Hyperion e sono al cospetto dello Shrike; intorno a loro divampa lo scontro tra gli Ouster e le forze dell’Egemonia. John Keats, una macchina umana costruita dalle Intelligenze Artificiali in cui è stata ricreata la coscienza del poeta, riesce a scoprire dove risiede il loro nucleo operativo, ma il fatto che si trovi all’interno dei teleporter comporta conseguenze inquietanti: bisognerebbe riportare indietro l’orologio dell’evoluzione umana, evitando così di soccombere alle Intelligenze attraverso la distruzione della Rete su cui si fonda l’Egemonia. Mentre i capi dell’Egemonia si trovano di fronte a una scelta di vita o di morte, il destino dei pellegrini si unisce inesorabilmente con quello dell’intera umanità.
Con La caduta di Hyperion, Dan Simmons descrive un mondo decadente e profondo, dove la fantascienza trova la sua massima espressione e ci regala un romanzo indimenticabile.

Il mio commento:
Ordunque, è da più di un mese che non aggiorno il blog ma, prima che anche settembre scivoli via, ho deciso di postare qualcosa. Non che di cose che avrei potuto raccontarvi non ce ne siano state - vacanze con Silvia in Val di Sole e dintorni, corsi e uscite col gruppo di salsa, pure un paio di lezioni di yoga fitness all'aperto, corso maestri di Qi Xing Tang Lang Quan, ripresa corsi di Qi Xing Tang Lang Quan a Camposampiero con annesso e imprevisto ma graditissimo arrivo di numerosi nuovi allievi ... per non parlare di serie televisive o film visti oppure persi... - ma il tempo che riesco a ritagliarmi per codesto blog ormai è sempre più risicato. 
Tuttavia, visto che son riuscito a completare la lettura di un libro (se, capirai che grande passo per l'umanità, direte voi...), complice un weekend all'insegna del raffreddore e di un accenno di influenza, ne approfitto per raccontarvi qualcosa proprio di questo.
Del libro, intendo.
Quasi un anno fa, parlai in questa sede di Hyperion, primo libro della tetralogia fantascientifica I canti di Hyperion di Dan Simmons. Orbene, ieri sono finalmente riuscito a concludere il secondo capitolo di questa saga, una lettura iniziata in terra africana durante la trasferta di maggio-giugno e protrattasi finora.
Analogamente a quanto sperimentato con il primo libro della serie, non posso fare a meno di genuflettermi dinnanzi a questo autore strabiliante e replicare i gesti visti in Fusi di Testa.
La lettura è stata senza dubbio un'esperienza ardua e faticosa, complessa e nient'affatto banale, pregna e ricca di tantissimi elementi e rimandi e commistioni di generi. Diversamente dal primo libro, qui non ci troviamo di fronte a n mini romanzi differenziati per generi e intervallati da episodi di storia presente vissuta dai protagonisti. La narrazione procede invece su più livelli, su più dimensioni spazio temporali in contemporanea, in alcuni punti avanti nel tempo in altri nel mondo tecnologico delle Intelligenze Artificiali (il TecnoNucleo). Ecco allora che il lettore si troverà a girovagare in contesti e situazioni differenti, pressanti, sofferte, con la minaccia di una guerra globale che incombe, con misteri da svelare, con le enigmatiche Tombe del tempo ormai aperte, con drammatiche decisioni nelle mani dei protagonisti. Personaggi ritrovati e che, ciascuno a modo suo, contribuirà a sbrogliare la situazione, personale e non. Chi, ad esempio, nei panni del Primo Funzionario Esecutivo del Senato dell'Egemonia dell'Uomo, Meina Gladstone, alle prese con un disastroso tentativo di difesa contro la dilagante minaccia Ouster; chi nei panni di un essere a metà tra creatura vivente e cibernetica, come il cibrido di John Keats che, sognando, riesce a stabilire un contatto al di là di ogni comprensione con quanto sperimentano i pellegrini su Hyperion; chi ancora come pellegrino, alle prese con i misteri di Hyperion e la terribile presenza dello Shrike...c'è davvero tanto, troppo oserei dire, eppure in questo libro l'autore è riuscito a condensare qualcosa di epico, di biblico addirittura. Difficile, anche perché lo stesso autore ce lo suggerisce attraverso le parole e gli studi di Sol Weintraub, uno dei pellegrini, che "sacrifica" la propria figlia cedendola allo Shrike, un sacrificio fatto con amore, come atto di fede e disperazione e che, al contempo, rimanda al gesto di un certo Abramo verso il Dio del Vecchio Testamento. Così come biblici sono i riferimenti verso l'attesa di una promessa "intelligenza finale" e il parallelo tra il cibrido John Keats e Giovanni Battista, entrambi anticipatori del messia che porterà la salvezza.
Su tutto regna però un'atmosfera di sconfitta e sofferenza, sia per l'imminente presagio di devastazione intergalattica che si avvera di pagina in pagina, sia per la presenza di capitoli ed episodi in cui il dolore, la sconfitta e la morte sono presenti: il gigantesco albero di spine cui vengono appese le vittime dello Shrike, il lento declino del cibrido Keats, prigioniero su Vecchia Terra fino alla morte, così come le missioni compiute dal Console o le perdite affettive che sperimenta Brawne Lamia, la sconfitta in combattimento del colonnello Kassad, nonché la drammatica rivelazione sulla reale identità del nemico e dell'unica scelta possibile per la sopravvivenza della razza umana...
Eppure, accanto a tutto ciò, si respira anche uno sforzo corale, una tensione verso la salvezza o comunque un raggiungimento di un qualche obbiettivo cui nessuno dei personaggi si sottrae, la classica lotta titanica contro entità non ben definite ma comunque assolute. Ecco allora che qualcuno rischierà la vita in una missione suicida pur di compiere il proprio dovere, magari andando a trattare con i temibili Ouster consapevoli di essere, ai loro occhi, un traditore (si, Console, sto guardando te), qualcun altro compirà un irrazionale atto di fede nel tentativo di salvare la propria figlia a cui non restano che poche ore di vita, un altro lotterà strenuamente contro un'orda di Shrike alla guida di un popolo futuro e sconosciuto e questo in nome dell'amore che nutre per una donna...
Insomma, c'è così tanto che, effettivamente, l'esperienza di lettura si rivela davvero indimenticabile. Arricchita anche da parti in versi, altre ancora in pseudo linguaggio da IA, criptiche, altre, come già da prassi collaudata nel primo romanzo, nel linguaggio ricco di neologismi e suggestioni cui Simmons mi/ci aveva abituato. Capace ora di dipingere paesaggi, ora di caratterizzare personaggi, ora di descrivere scenari e tecnologie future e credibili, ora ipotizzando/anticipando scenari da dipendenza tecnologia cui ora, ormai, siamo assuefatti.
Quindi, non so bene cosa sono riuscito a trasmettervi con questo mio indegno ciarlare, ma se siete alla ricerca di un'esperienza di lettura tosta ma gratificante e arricchente (si può dire, vero?), il ciclo dei Canti di Hyperion continua a rivelarsi una buona scelta, da non sottovalutare, ma certamente soddisfacente. Non una fantascienza stile Star Wars, per intenderci, commerciale e fracassona. Semmai ci troviamo al cospetto di un'opera matura, sofisticata, poetica e suggestiva, decisamente appassionata, nella quale sono le singole personalità - nonostante la sterminata ...forse non è il termine più corretto ...la popolosità della Rete dei pianeti dell'Egemonia - a consentire all'umanità una sopravvivenza e una propria affermazione, e non necessariamente le personalità delle persone più evidenti o telefonate. In fondo, per dire, il Console è solo un uomo distrutto dal rimorso, Sileno un poeta pieno di vizi, Paul Durè un semplice uomo di chiesa, Brawne Lamia una donna ... che potrebbe avere in grembo il messia ... senza contare che anche la piccola Rachel, così piccola e condannata, potrebbe invece esser stata scelta per un destino impensabile a chiunque.
Per cui, siete avvisati, il libro è decisamente un tomo (o un'ebook, dipende dai punti di vista...) a cui attribuire le massime attenzioni ma, al contempo, ricordatevi di maneggiarlo con cognizione di causa, rimboccandosi le mani e prendendovi tutto il tempo che vi serve per procedere fino all'epilogo.


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